Beh, i ricordi di Giorgio Morandi sono tanti. Vi ho detto prima che per tradizione io non provengo dall’Accademia, e nemmeno nella pittura sono morandiano. Anzi sono antimorandiano, nella pittura. Cos’è che amavo di Morandi? Amavo la statura profondamente umana e culturale di Morandi. Voglio dire che rappresentava per noi un modello morale. Lei pensi a un giovane che vive e si forma nell’età del ventennio. E quindi c’è il limite di una cultura autarchica, non ci sono molte informazioni. Oggi i giovani possono fruire di centinaia di canali informativi, e quindi si può benissimo da Bologna o da Cortina d’Ampezzo avere una visione del mondo culturale vastissimo, con tutto quello che succede. La nostra formazione invece, e quindi la mia formazione a Bologna di quegli anni è il vivere nel chiuso quasi di una cittadella medioevale. Bologna è chiusa, è chiusa. Anche la cultura italiana era chiusa nel suo limite. E quindi Morandi rappresentava per noi, per me e per alcuni altri bolognesi che ho citato prima, un modello di vita. Ci dava una dimensione esatta del modo come l’artista doveva operare. Così appartato, così schivo, così poco ufficiale. Con una pittura così intima, così segreta, così morale. Ecco per noi  rappresentava questo modello. E’ chiaro poi che l’immagine della composizione morandiana ci dà un modello dove l’uomo non è dentro, cioè non è rappresentato come nelle grandi composizioni di alcuni grandi pittori, citando Picasso o citando Braque o Matisse, per fare un altro grande nome. Oppure citando un nome invece che operava dentro allo stesso periodo, De Chirico o Sironi, questi sono pittori figurativi. Ecco di questo clima, il pittore che amavo di più, strano dirsi, era un pittore ufficiale del regime, era Sironi. Però quello che mi dava l’immagine di una misura più segreta, e quindi poteva essere il modello, era Giorgio Morandi.

(RADIO CORTINA - INTERVISTA AD ALDO BORGONZONI  DATA: FINE DICEMBRE 1976)